Vinta è ormai la morte. 5ª Domenica di Quaresima (A)

Vinta è ormai la morte

Solo accettando di stare nel buio fetore del sepolcro, di morire e consumarci come il chicco di grano, potremo sperimentare la forza di Cristo sulla morte.

Letture: Ez 37,12-14; Sal 129 (130); Rm 8,8-11; Gv 11,1-45

Il cammino di Quaresima ci ha già fatto percorrere quattro passi alla riscoperta del nostro Battesimo.

  1. Il primo nel deserto, dove Gesù non ci ha abbandonati alla tentazione, ma l’ha affrontata con noi e per noi.
  2. Il secondo sul Tabor, dove abbiamo “sbirciato” la Gloria di Dio che ci attende e abbiamo preso sul serio l’impegno di ascoltare e seguire Gesù.
  3. Il terzo presso il pozzo di Giacobbe, dove abbiamo sperimentato la sete: quella di Dio di incontrare l’uomo e quella dell’uomo di conoscere davvero Dio.
  4. Il quarto alla piscina di Sìloe, dove il Signore ci ha ri-creati come uomini nuovi, capaci di vedere e riconoscere in Gesù il Messia, l’Inviato di Dio.

A tu per tu con la morte

Il quinto passo è il più difficile, perché parte dalla paura più grande di ogni uomo: quella della morte.

Con Lazzaro anche noi siamo nel sepolcro, a tu per tu con la morte.

Come nel vangelo di domenica scorsa («di chi è la colpa che sia nato cieco?») ci troviamo un’altra volta davanti alla provocazione sul senso del male, della sofferenza, della malattia, della morte nel mondo: un mondo creato da Dio.

La domanda che sorge potente nel cuore dell’uomo è sempre:

«Se Dio c’è e ci vuole bene, perché esiste il dolore? Perché permette la sofferenza e la morte?»

E ancora una volta Gesù ci risponde come non ce l’aspetteremmo:

«Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio…»

Questo Gesù mi scandalizza

Ma se la cecità dell’uomo del vangelo di domenica scorsa può essere “accettabile”, la vicenda di Lazzaro, per me è sempre scandalosa da ascoltare, e da annunciare.

Lo dico a partire da un’affermazione di Gesù che mi spaventa sempre:

«Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là».

Abbiamo capito bene?! Gesù ha lasciato morire Lazzaro di proposito!

Avrebbe avuto tutte le possibilità che Dio ha per arrivare prima, per guarirlo a distanza, per fare in modo che non si ammalasse… invece lascia morire il suo amico!

Perché?

Per mostrare la gloria di Dio… perché i suoi discepoli e la gente del tempo potessero credere in Lui come Messia, Inviato di Dio, capace di esercitare il potere sulla morte:

«Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato».

Ne valeva la pena?

Ma – visto che poi alla fine i discepoli (e tutti gli altri) non hanno creduto – ne è valsa davvero la pena?

Di lì a pochi giorni – infatti – di fronte alla morte di Gesù, per loro sarebbe stato tutto come prima, come se niente fosse successo, come se non avessero visto alcun morto risorgere!

E Lazzaro era solo l’ultimo della serie: ricordiamo la figlia di Giàiro e il figlio della vedova di Nain, riportati alla vita anche loro.

Niente da fare: tutti – davanti alla Croce – sarebbero stati annientati dalla certezza che la morte non si può sconfiggere, che ha sempre lei l’ultima parola.

La morte è sempre insensata

La morte di Lazzaro non è servita a nulla.

La morte in sé non serve a nulla! Punto!

La morte è sempre insensata, ingiusta! Non è questo ciò che pensa ognuno di noi?

Chi di noi, poi, sarebbe disposto a “fare da cavia” per questo esperimento?

Vi siete mai impressionati quando al circo il prestigiatore chiama un volontario dal pubblico per entrare nella scatola delle lame (quella che poi si apre a metà e la persona sembra davvero tagliata in due)?

Beh, se nessuno di noi si offrirebbe per quello che è solo un trucco e un’illusione, immaginiamoci per “provare a morire” (con la promessa che tanto, poi, qualcuno ci risusciterà)!

La morte non è un gioco, non è uno scherzo!

Gesù “gioca” con la morte?

Mi viene da protestare: possibile che Gesù non avesse altro modo per “lanciare messaggi” riguardanti il suo futuro e suscitare la nostra fede nella risurrezione?

Non avrà pensato alla lacerazione del cuore di quelle due povere donne, Marta e Maria («Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto»)?

Non avrà pensato al senso di abbandono e smarrimento totale del povero Lazzaro?

Lui, sapendo di essere uno dei migliori amici di un così grande Maestro e guaritore, non si sarebbe mai aspettato di trovarsi invece solo, a tu per tu con la morte!

Doveva per forza “far assaggiare” anche ai suoi migliori amici lo strazio che di lì a pochi giorni sarebbe toccato a Lui stesso?

Perché Dio ci lascia soli con la morte?

Di fronte a tutto ciò, sorge terribile il grido: «Dio, perché ci lasci soli a morire?!»

Sembra una bestemmia… Eppure in questi giorni terribili, quanti “poveri Cristi” l’avranno urlata solo con la mente dalle terapie intensive, perché ormai privi di respiro?

Non è una bestemmia: tra qualche giorno la sentiremo sulla bocca di Gesù stesso, che dalla Croce urla il suo senso di solitudine, di distanza incolmabile da Dio Padre: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»

È il grido di ogni uomo di fronte alla morte, quello che oggi la Liturgia ci fa pregare nel Salmo Responsoriale:

«Dal profondo a te grido, o Signore;
Signore, ascolta la mia voce».

C’è un passaggio in questo brano che (se ce ne fosse bisogno) ci assicura che – sicuramente – per il Signore la morte non è un gioco:

Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: «Dove lo avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto.

Inspiegabilmente necessario

Persino per Dio la morte è una tragedia, ma, inspiegabilmente, misteriosamente, la morte, nel piano di Dio, è necessaria.

Ed è necessario anche sentire – proprio in quel momento – la totale distanza e lontananza di Dio!

Lui stesso non si è risparmiato nessuno di questi drammi.

È così perché tutto ciò che è “di quaggiù” dev’essere abbandonato e lasciato, per poter entrare nella vita di Dio.

L’uomo vecchio è tutto da spogliare se vogliamo rivestire il nuovo, ci direbbe san Paolo. Dobbiamo morire a noi stessi, essere sepolti in Cristo e con Cristo (Rm 6,4) se vogliamo sentirci gridare «Vieni fuori!»

Oggi Gesù ci chiede di affrontare la paura di entrare nel sepolcro, nel buio fetore della terra ammorbata dal nostro peccato, di lasciarci macerare lì come il chicco di grano (cfr Gv 12,24)… perché proprio da lì il Cristo Risorto verrà a tirarci fuori con la potenza della sua Parola, saldamente ancorata alla volontà del Padre.

E anche per noi, questa volta definitivamente, la Sua voce dirà: «Vieni fuori!»

E alla morte dirà «Liberàtelo e lasciàtelo andare».

Per approfondire la bellezza di questo mistero, vi rimando ancora una volta all'antica omelia anonima sul Sabato Santo, che ho citato anche nella riflessione di ieri sul dormire di Dio.

Solo Cristo sconfigge la paura della morte

Cerco ora di entrare nel cuore di Lazzaro risuscitato… di provare a immaginare la sua fede in Gesù, rinnovata e accresciuta…

Lui poteva ormai essere certo che la morte non ha l’ultima parola, perché Dio sa “prenderla per la coda” e strattonarla indietro (cfr 1Cor 15,54-57).

Forse – da quel momento in poi – Lazzaro avrà vissuto senza più il terrore della morte…

Non perché aveva visto cosa c’è dopo, nell’al di là (è la curiosità di tutti), ma perché aveva sperimentato che Cristo può davvero sconfiggere la più tremenda nemica che abbiamo, sempre, ovunque!

Un germe da coltivare

Questo è il quinto passo del nostro cammino di re-Iniziazione Cristiana: credere anche noi – con Lazzaro – che la nostra morte è già stata vinta, definitivamente.

Con Lazzaro, Marta, Maria e tutti i giusti, di fronte alla domanda di Gesù:

«Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?»

siamo chiamati a rispondere: «Sì, o Signore, io credo!»

La morte ci fa ancora paura, sì, ci fa sentire ancora soli, ma dentro di noi – dal giorno del nostro Battesimo – c’è il germe della speranza e della fede.

È questo germe che dobbiamo “annaffiare” e far crescere ogni giorno con lo Spirito Santo.

Vivere da battezzati è vivere di questa speranza che ci fa guardare al nostro sepolcro sapendo che resterà occupato davvero per poco.