Sulla tua parola… Santa Teresa di Calcutta

sulla tua parola

Vocazione è la consapevolezza che Dio viene a cercarti proprio dove meno te lo aspetti: la Sua Parola ti raggiunge proprio nel bel mezzo delle tue miserie.

Letture: Col 1,9-14; Sal 97 (98); Lc 5,1-11

Anche oggi posso confermare che la Parola di Dio non ci viene mai somministrata a caso: nella memoria (facoltativa) di Santa Teresa di Calcutta, il vangelo della feria è quello della pesca miracolosa che dà il via alla vocazione dell’apostolo Pietro secondo la narrazione di Luca.

La situazione nella quale avviene la chiamata di Pietro secondo il racconto di Luca potrebbe essere benissimo descritta con alcuni versi di una bella poesia di Cesare Pavese:

«Quest’è l’ora in cui nulla
può accadere…
Non c’è cosa più amara che l’alba di un giorno
in cui nulla accadrà. Non c’è cosa più amara
che l’inutilità».

(Cesare Pavese, Lo steddazzu, inverno 1935)

A ben vedere, chi – nei panni di Pietro – dopo aver faticato tutta la notte senza aver preso nulla – avrebbe avuto ancora voglia di ragioni?

Il luogo perfetto per incontrare Dio

Quanti fanno questa esperienza?

Un giorno ti svegli e ti sembra di aver sbagliato tutto, di aver preso non solo uno, ma mille abbagli, su te stesso, sulle tue scelte di vita, e ti sembra di precipitare nell’abisso.

Ma in quello che a noi sembra essere il luogo più lontano nel quale Dio possa ficcare il naso, Lui sembra proprio non riuscire a fare a meno di ficcarsi.

Ce lo ricorda fin dall’inizio la Rivelazione biblica, quando – dal roveto ardente – Dio spiega a Mosè il motivo della sua manifestazione:

«Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo…» (Es 3,7s)

Sembra proprio che a Dio piaccia venire a farci visita nel momento più sbagliato, nelle situazioni meno adatte.

E non lo fa certo per umiliarci, ma perché non può non prendersi cura delle nostre miserie («Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano» – Lc 5,31s).

E dalle nostre miserie non si accontenta di risollevarci ad una situazione di normalità, ma fa di noi i suoi ministri e discepoli (è l’esperienza raccontata anche dall’apostolo Paolo).

Dio vede (anzi, “osserva”, col cuore in gola) la condizione dell’umano soffrire, e vi entra dentro (cfr v.3: «salì su una barca»).

Dinanzi al mio fallimento Dio non giudica, ma com-patisce, partecipa alle mie sofferenze.

E poi mi invita a salpare nuovamente: «prendi il largo!».

Il trampolino di lancio

Dio non è come noi: non si lascia affondare dal fallimento, dal male, dal peccato.

Proprio dei nostri fallimenti Dio fa un’occasione di ripartenza, un trampolino di lancio.

Il fallimento passato non deve zavorrare il futuro.

Per uno sbaglio non posso mettermi ai bordi dell’esistenza a contemplare sconsolato la vastità del mare.

Non posso farmi bloccare dalle mie paure: «Non temere» (v. 10)

Devo lasciarmi convincere che c’è ancora futuro: «D’ora in poi…»

Ed è un futuro che parte prendendo da quello che sono e che so fare (anche se non sempre bene): «sarai pescatore».

Ma sempre in quella novità di vita che solo Dio mi sa offrire: «sarai pescatore di uomini».

Non conta come chiama, l’importante è rispondere

Tra le tante frasi famose citate di Madre Teresa, mi sono imbattuto in questa (che è poi il motivo per il quale dico che la Parola di Dio non viene mai a caso):

«Non ha importanza la forma della chiamata. È una cosa tra Dio e me. Ciò che è importante è che Dio chiama ciascuno in modo differente. Noi non abbiamo alcun merito. L’importante è rispondere con gioia alla chiamata» (citato in Franca Zambonini, Madre Teresa: la mistica degli ultimi, Paoline, 2003).

Mi sono chiesto spesso come e dove trovasse la forza quella donna minuta per continuare la sua opera di misericordia verso i poveri e gli ultimi del mondo.

La risposta sta proprio in questa consapevolezza: non bisogna stare a chiedersi perché Dio sia venuto a cercarci proprio nel luogo e nel tempo meno adatti, nella nostra miseria.

È una questione tra Dio e te: nessun altro lo sa.

L’importante è rispondere con gioia alla chiamata. Come i discepoli del vangelo di oggi che «tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono».

Ma attenti a non ricadere nella tristezza spirituale che abbiamo tratteggiato all’inizio con la poesia di Cesare Pavese, perché il pericolo dello scoraggiamento è sempre in agguato, ad ogni paura, ad ogni fallimento…

Perché non accada, occorre ritornare sempre e ogni giorno, alla freschezza originaria della propria vocazione, di quel segreto incontro tra la tua povertà e la Sua grandezza che ha dato origine a tutto.

Ciò può avvenire solo in un rapporto di intimità con Cristo, nella preghiera.

Intatti, è proprio nella preghiera che la piccola santa trovava ogni volta – come fosse il primo giorno – la ragione del suo seguire Cristo:

«Il mio segreto è infinitamente semplice. Prego. Attraverso la preghiera, divento una cosa sola nell’amore con Cristo. PregarLo, è amarLo».