Su e giù dal trono… Solennità di Cristo Re (C)

sul trono della Croce

Se vogliamo davvero che Cristo sia il nostro Re, che metterLo sul trono non sia una burla, dobbiamo camminare sulla via dell’umiltà, fino al trono della Croce

Letture: 2Sam 5,1-3; Sal 121 (122); Col 1,12-20; Lc 23,35-43

La prima cosa che mi viene in mente quando penso ad un re è il trono: una bella sedia lussuosa, sfarzosa, luccicante, illuminata, ben sollevata… d’altronde, da piccoli abbiamo ascoltato tutti le favole, no? E tutti – da piccoli (o forse continuiamo a farlo anche da grandi?) – abbiamo accarezzato l’idea di sederci su un trono…

Ma lo sapete qual è il primo risultato sul motore di ricerca Google se si digita la parola “trono”? Notizie riguardo alla trasmissione TV Uomini e donne di Maria de Filippi!

Se il trono diventa una burla…

Eh già, perché là ci sono i “tronisti” (vocabolo che è entrato perfino nei dizionari più autorevoli della lingua italiana). C’è chi scende e chi sale, chi viene osannato e chi deriso o sbeffeggiato…

Ma una volta sul trono non ci stavano solo Re e Imperatori (e Papi)? E non erano assolutamente da rispettare, pena la morte?

Forse non è stata la De Filippi la prima a mettere in ridicolo il trono… ci ha pensato già Nostro Signore duemila anni fa. Se ci fate bene attenzione, la scena non era meno squallida.

Luca nel vangelo di questa domenica (col quale “ci saluta”, perché settimana prossima inizia un nuovo Anno Liturgico, in cui ci terrà compagnia Matteo) ci racconta di come la gente, di fronte ad un “trono” un po’ particolare aveva atteggiamenti simili:

«il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: “Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto”. Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso”».

Che ci sia una specie di “trono” e ci sia di mezzo un Re lo sappiamo perché

«Sopra di lui c’era anche una scritta: “Costui è il re dei Giudei”».

Trono o Croce?

Normalmente nelle nostre chiese domina la Croce: il “trono” tutto speciale che si è scelto il nostro Re, il cui Regno non è di questo mondo. Ma ogni tanto siamo bravi a costruire veri e propri troni (come le “Raggiere” che costruiamo in occasione delle Sante Quarantore o del Triduo dei Defunti), e sopra questi “troni”, al posto della Croce mettiamo l’Ostensorio col Santissimo Sacramento.

Tutte belle cose, per carità… se però non restano solo dei “rimasugli” della pietà popolare, svuotati della vera devozione di un tempo e della fede profonda che vi ha dato origine. Altrimenti anche quei “troni” diventano una presa in giro, di Dio e di noi stessi.

Un re che ci scandalizza

La scena del vangelo di oggi è la conclusione del lungo viaggio verso Gerusalemme che Luca ci ha fatto percorrere assieme a Gesù. Siamo al cospetto della misericordia di Dio al suo apice… e rischiamo anche noi – come la gente del tempo – di rimanerne scandalizzati, di trovarci di fronte ad un Dio che proprio non ci aspettavamo, che facciamo fatica a capire.

Non solo perché si lascia annientare dalla violenza e dall’ingiustizia dell’uomo, ma soprattutto perché – proprio nella situazione in cui l’uomo meno lo meriterebbe – “cede” ancora una volta alla sua infinita misericordia: al malfattore che gli chiede pietà, dona la salvezza, subito («oggi sarai con me»), senza tentennamenti.

E questa cosa ci manda su tutte le furie. Sembra di ritrovare qui il pubblicano che prega in fondo al tempio (brano ascoltato nella 30ª Domenica) o la storia di Zaccheo (ascoltata la domenica successiva).

Ma se lì potevamo cercare di passargliela tutta quella benevolenza (magari turandoci il naso, come gli scribi, i farisei e i dottori della legge), qui proprio si passa il limite! Qui c’è di mezzo la vita di un innocente! Quando è troppo è troppo!

Fuori dai nostri schemi

Facciamo fatica a capire e ad accettare un Dio che si fa annientare, che sembra abdicare perfino davanti alla “giustizia divina”. Davanti al mistero della Croce siamo nella stessa situazione dei Greci e dei Giudei descritti da san Paolo:

«La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano, ossia per noi, è potenza di Dio… Dio non ha forse dimostrato stolta la sapienza del mondo? Poiché infatti, nel disegno sapiente di Dio, il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (cfr 1Cor 1,18-25).

Se è sceso Lui, dobbiamo scendere pure noi

Croce e Ostensorio, passione e gloria… è un po’ il “su e giù” che facciamo fare a Cristo anche nella nostra vita tutti i giorni: quando lo osanniamo a parole ma lo umiliamo nei fatti, comportandoci – né più né meno – che come la gente del Gòlgota quel giorno…

Quando ci riempiamo la bocca delle belle parole del vangelo ma poi viviamo quotidianamente nella stessa superbia dei potenti della terra, che si siedono su quel “trono” che è la testa dei più deboli (non pensiamo subito – come sempre – ai “grandi” della terra: Trump, Putin etc… Pensiamo – piuttosto – a noi: alle piccole o grandi ingiustizie perpetrate dalla nostra superbia e dal nostro orgoglio, in famiglia, sul lavoro, in Parrocchia…).

È venuto davvero a portare un Regno, Cristo, nostro Re. Ma per instaurarlo ha deciso di scendere dal trono. E se vogliamo collaborare a questo regno (che chiediamo ogni giorno nel Padre Nostro, dicendo «venga il tuo regno») se vogliamo regnare con Lui, non abbiamo altra strada che questa:

«Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù:
egli, pur essendo nella condizione di Dio,
non ritenne un privilegio
l’essere come Dio,
ma svuotò se stesso
assumendo una condizione di servo,
diventando simile agli uomini.
Dall’aspetto riconosciuto come uomo,
umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e a una morte di croce…»
(cfr Fil 2,5-11)

L’umiltà è la porta della misericordia, e del suo Regno

Non c’è altra via che questa: “scendere dal piedistallo”, farci umili, riconoscerci peccatori, bisognosi della Sua misericordia – come il pubblicano, come Zaccheo, come il “buon ladrone”.

E se finalmente un giorno – fosse anche l’ultimo della nostra vita – riusciremo anche noi a dirgli «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno» …stiamo pur certi: ci risponderà «oggi con me sarai nel paradiso».