Rassegnarsi al volere di Dio. Preghiera della serenità

serenità è rassegnarsi

La serenità è un dono di Dio, viene dalla fede in Lui, dal rassegnare tutta la nostra vita nelle sue mani, come ha fatto Cristo.

Signore, donami serenità

«Dio, concedimi la serenità di accettare le cose che non posso cambiare,
il coraggio di cambiare le cose che posso,
e la saggezza per conoscerne la differenza.

Vivendo un giorno per volta;
assaporando un momento per volta;
accettando la difficoltà come sentiero per la pace.

Prendendo, come Lui ha fatto, questo mondo peccaminoso così com’è, non come io vorrei che fosse.
Confidando che Egli metterà a posto tutte le cose, se io mi arrendo al Suo volere.
Che io possa essere ragionevolmente felice in questa vita,
e infinitamente felice con Lui per sempre nella prossima».

Mi è sempre piaciuta questa preghiera del teologo protestante Reinhold Niebuhr. Soprattutto la prima strofa.

Oggi l’ho rispolverata dopo una giornata che – umanamente – giudicherei sprecata (sono sceso fino al Pronto Soccorso Oftalmico del Fatebenefratelli a Milano per cercare di farmi visitare, ma sono dovuto tornare “con le pive nel sacco” dopo 3 ore e mezza di attesa e ancora 19 pazienti davanti a me).

Rileggendola tutta – però – stasera ho trovato la ragione, la sorgente della serenità.

La serenità non è una cosa che possiamo darci da soli: è dono di Dio, viene dalla fede in Lui. Una fede non “generica”, ma specifica.

Una fede che è accettazione incondizionata della Sua volontà come volontà buona per me.

Arrendersi non è segno di debolezza, ma di fiducia

E mi piace il verbo usato dal Niebuhr – “arrendersi” (surrender in inglese).

Perciò – quasi a fargli eco – ho scelto per il titolo il verbo (volutamente equivoco e provocante) “rassegnarsi”.

È un verbo che torna due volte nella Preghiera della Novena a Nostra Signora del Sacro Cuore di Gesù, venerata nella Parrocchia di Laxolo.

Siamo abituati a dare un significato molto negativo a questa parola.

“Rassegnarsi”, nel nostro italiano corrente, vuol dire “arrendersi” (per esempio al nemico, alla malattia, alla tentazione), o – peggio angora – «smettere definitivamente di sperare».

Se questo fosse il significato reale del termine, sarebbe tremendo invocare Dio di «donarci la rassegnazione»!

Invece, andando a controllare l’origine etimologica della parola, troviamo che “rassegnazione” è l’atto del rassegnare (letteralmente “ri-assegnare”), cioè: «riconsegnare al legittimo proprietario».

“Rassegnarsi”, in segno religioso, è quindi un atto di profonda fiducia: è rimettere nelle mani di Dio ciò che è suo, ben sapendo che solo Lui sa farne buon uso.

È rimettersi nelle mani di Dio uniformandoci al Suo volere, conformandoci alla Sua volontà.

Fidarci di Dio stringendoci attorno a Gesù

È un po’ lo stesso concetto che esprime san Paolo, spiegando agli Efesini il piano divino della salvezza:

«Egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua volontà, secondo quanto nella sua benevolenza aveva in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra» (Ef 1,9-10).

Ho citato la vecchia traduzione CEI 1974 perché usava il termine (più letterale) di “ricapitolare”, che è l’atto del riavvolgere la pergamena attorno al capitolum, il bastoncino che serviva per archiviare i rotoli delle Sacre Scritture (o di altri documenti ufficiali). [La nuova traduzione CEI 2008 («ricondurre al Cristo, unico capo») spiega magari meglio il concetto, ma perde per strada la bella immagine evocativa del rotolo].

Ecco, mi pare che «rassegnarsi alla volontà di Dio», «arrendersi al Suo volere», equivalga a lasciare fare a Dio, perché Egli possa riavvolgere “il rotolo” della storia e delle vicende del mondo attorno a quel capitolum che è Cristo, il primo che ha “rassegnato” totalmente la sua volontà e la sua vita nella mani del Padre (Lc 23,46).

Solo così – avvolta attorno a Cristo e pienamente ricondotta a Lui – anche la nostra vita trova un senso.

Un senso che ci dà pace e serenità.