Dalle tue mani capirò chi sei. 25ª Domenica del Tempo Ordinario (C)

mani contadine

Sono ottimi amministratori quelli che tendono le loro mani callose verso gli altri per donare con generosità

Letture: Am 8,4-7; Sal 112 (113);  1Tm 2,1-8;  Lc 16,1-13

C’è un gioco d’acqua che facciamo spesso con i bambini del Centro Ricreativo Estivo: consiste nello stare seduti uno di fronte all’altro e passarsi all’indietro (sopra la testa) una spugna imbevuta d’acqua, fino a raggiungere l’ultimo della fila, che la strizza dentro una bottiglia per cercare di riempirla quanto prima.

Facendo questo gioco, oltre a divertirsi e rinfrescarsi, ci si rende conto di una cosa: più si stringe la spugna, meno acqua arriva a destinazione e molta va dispersa.

Mani pulite

Ho iniziato con questo esempio perché sono stato colpito dall’espressione usata dall’apostolo Paolo alla fine della seconda lettura di oggi:

«Voglio dunque che in ogni luogo gli uomini preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza contese».

L’espressione di san Paolo mi ha ricordato – a sua volta – le parole di un vecchio canto tradizionale:

«Quando busserò alla Tua Porta,
avrò fatto tanta strada,
avrò piedi stanchi e nudi,
avrò mani bianche e pure…»

Come si fa ad avere le mani pure?

A metà degli anni novanta in Italia fece molto scalpore la vicenda di Tangentopoli.

L’espressione Mani pulite (usata per indicare la serie di inchieste giudiziarie che ne seguì) è diventata un’allusione ricorrente all’onestà, che – purtroppo – è sempre più una merce rara.

Non solo nella politica e nell’imprenditoria, ma anche nei rapporti umani più comuni.

Si dice spesso che per “farsi strada” in questo mondo, bisogna «avere le mani in pasta», o conoscere qualcuno che sappia «dove mettere le mani».

Insomma: pare che l’imbroglio sia la regola numero uno della sopravvivenza.

Quanti gesti e modi di dire…

Provate a pensare al gesto che si fa con le mani per indicare che «qui è tutto un “magna magna”»

Mani che arraffano, che afferrano e stringono in maniera possessiva… non sono mani pure.

E l’esperienza insegna che si fa la fine del gioco descritto all’inizio: a forza di arraffare, di stringere forte, si scialacqua e si disperde… si resta «a mani vuote», «con un pugno di mosche».

Esistono ancora persone oneste oggi? Persone che non hanno mai «allungato» le mani?

Quanti modi di dire che alludono alle mani… e quasi tutti in senso negativo!

Mani sporche ma oneste

Parrebbe allora che – al giorno d’oggi – l’unico modo per «non sporcarsi le mani» sia «stare con le mani in mano».

Ma Gesù non vuole che ce ne stiamo con le mani in mano.

Infatti ci ammonisce da questo atteggiamento in un’altra pagina di vangelo: la parabola dei dieci servi.

I primi servi che si presentano a rendere conto, hanno fatto fruttare la moneta ricevuta dieci o cinque volte tanto.

Per fare questo senz’altro hanno «trafficato», si sono dovuti «sporcare la mani».

Invece non si era per nulla sporcato le mani colui che si giustificò dicendo: «Signore, ecco la tua moneta d’oro, che ho tenuto nascosta in un fazzoletto».

I primi vengono lodati e premiati perché si sono dati da fare, sono stati «fedeli nel poco». Invece l’ultimo è giudicato malvagio e gli viene tolta la moneta.

Un cattivo esempio per apprendere una cosa buona

Essere «fedeli nel poco» è l’espressione che compare anche nella riflessione di Gesù a commento della parabola odierna dell’amministratore disonesto.

Questi viene lodato, nonostante sia irriducibilmente corrotto (anche nel cercare un modo di farsi amici che lo possano aiutare dopo il licenziamento).

Non è certo la disonestà ad essere esaltata da Gesù, ma due caratteristiche dell’agire di quel contabile:

  1. La prontezza scaltra: quell’uomo non sta «con le mani in mano», ma subito di da da fare per risolvere la sua situazione.
  2. Il cambio di obiettivo della sua disonestà: mentre prima sperperava i soldi del suo padrone (con tutta probabilità) per mettersi in tasca facili e illeciti guadagni, adesso ruba al suo padrone per alleggerire il peso che gravava sui debitori. Una sorta di Robin Hood (che rubava ai ricchi per dare ai poveri).

Quanto alla prontezza cosa dobbiamo imparare?

Se ci accorgiamo che la nostra vita (spirituale) ha preso una brutta piega, occorre subito “tirarsi indietro la maniche” e darsi da fare.

Non possiamo aspettare che le soluzioni piovano dal cielo, dicendo «forse dovrei cambiare vita… magari un giorno dovrò fare così…»

Dobbiamo darci da fare immediatamente per “riconvertire” le nostre capacità da un uso sbagliato ad un uso proficuo e santo; un po’ come dicevano i Profeti:

«Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri,
delle loro lance faranno falci» (cfr Is 2,4 e Mi 4,3).

Quanto al cambio di obiettivo?

Torna qui il discorso che facevamo già qualche domenica fa: non siamo padroni di noi stessi, siamo solo amministratori di una ricchezza che non ci appartiene, ma ci è stata affidata da Dio.

E quindi non possiamo stringerla avidamente in petto e tenerla tutta per noi, ma siamo chiamati a condividerla.

Buoni amministratori secondo Dio

Per essere buoni amministratori delle ricchezze di Dio ci vengono in aiuto – coi loro suggerimenti – i due grandi Apostoli.

San Paolo:

«Ognuno ci consideri come servi di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, ciò che si richiede agli amministratori è che ognuno risulti fedele» (1Cor 4,1-2).

San Pietro:

La fine di tutte le cose è vicina. Siate dunque moderati e sobri, per dedicarvi alla preghiera. Soprattutto conservate tra voi una carità fervente, perché la carità copre una moltitudine di peccati. Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri, senza mormorare. Ciascuno, secondo il dono ricevuto, lo metta a servizio degli altri, come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio» (1Pt 4,7-10).

Il giudizio finale

Ecco, il Signore nell’ultimo giorno, per giudicarci, ci guarderà le mani: solo se le avremo sapute allungare e tenere aperte e generose verso i fratelli saranno «bianche e pure», pur essendosi sporcate per “trafficare”.

Non a caso, la seconda strofa del canto tradizionale che citavo all’inizio dice:

«Quando busserò alla Tua Porta,
avrò frutti da portare,
avrò ceste di dolore,
avrò grappoli d’amore…»

Termino regalandovi una bella poesia di Renzo Pezzani:

Dice il Signore a chi batte
alle porte del suo Regno:
fammi vedere le mani;
saprò io se ne sei degno.
L’operaio fa vedere
le sue mani dure di calli:
han toccato tutta la vita
terra, fuochi, metalli.
Sono vuote d’ogni ricchezza,
nere, stanche, pesanti.
Dice il Signore: Che bellezza!
Così son le mani dei Santi!

(Renzo Pezzani, Le mani dell’operaio)