Babele o Gerusalemme? Solennità di Pentecoste (A)

Babele o Gerusalemme?

Il nostro mondo è spesso “una babele”, perché la superbia e la presunzione ci impediscono di comunicare coi fratelli, di scoprire l’unicità dei loro carismi.

Letture: Gen 11,1-9; Sal 33; Rm 8,22-27; Gv 7,37-39 (Messa della vigilia)
At 2,1-11; Sal 103 (104);  1Cor 12,3-7.12-13; Gv 20,19-23 (Messa del giorno)

Come per altre grandi solennità, la Liturgia della Parola della Festa di Pentecoste propone letture diverse per la Santa Messa della vigilia rispetto a quelle del giorno.

In un magistrale accostamento, ci fa ascoltare anzitutto il racconto della torre di Babele e – il giorno successivo – quello della discesa dello Spirito Santo su Maria vergine e gli apostoli radunati nel Cenacolo.

Associazione a delinquere o Comunità?

Nel primo si narra di come tutti gli uomini della terra avessero un’unica lingua e si intendessero perfettamente l’un l’altro, ma utilizzarono questa possibilità per sfidare Dio («Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome…»).

Il risultato di tanta spocchia fu – appunto – “una babele”: una gran confusione che portò a non comprendersi più e a disperdersi.

Nel secondo si dice che a Gerusalemme c’erano persone provenienti da nazioni, culture e tradizioni completamente diverse tra loro ma, sotto l’azione dello Spirito Santo, tutti poterono ascoltare e capire perfettamente l’annuncio di salvezza nella loro lingua nativa («li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio»).

In entrambi i racconti ci sono persone radunate, ma con scopi (ed esiti) ben diversi.

A Babele c’è l’intento superbo dell’uomo, che pretende – con le sue sole forze – di innalzarsi al livello di Dio e “rapinare” quel che è in cielo.

A Gerusalemme c’è un atteggiamento umile di attesa di un Dono promesso dal cielo («erano perseveranti e concordi nella preghiera»At 1,14).

Non sempre «l’unione fa la forza», insomma.

Non tutte le associazioni sono benefiche (spesso ci si associa con intenti cattivi). Tutto dipende da cosa “ti tiene assieme”…

La “babele” globale

Anche oggi viviamo in una sorta di “babele”: siamo immersi in un mondo globalizzato, dove il miraggio è quello di poter avere tutto a portata di mano, o di click!

Google Traduttore istantaneo, ti salva nella "babele" delle lingue

Basta inquadrare una frase in qualsiasi lingua col nostro smartphone e… «Tac!»: Google Traduttore© fa il miracolo.

Sogniamo che basti internet per sapere tutto, per comprendere fino in fondo il senso della storia, delle cose e delle persone.

Crediamo che basti conoscere la “lingua” della tecnologia (dei mezzi di comunicazione globale, della “rete”) per capire e capirsi, per imparare da soli (senza dover faticare ad ascoltare alcun insegnante)…

Invece il risultato è proprio “una babele”: una grande confusione dove ognuno ha “la sua verità”.

Ci perdiamo (e quasi affoghiamo) navigando dentro al mare di informazioni (e disinformazioni spesso menzognere) del web.

Su internet tutto appare uguale, omologato e indifferente: non c’è più bianco o nero, giusto o sbagliato, bello o brutto, bene o male…

È frustrante, e avvilente. Ci confonde, ci disperde… appunto.

Lo Spirito non omologa ma valorizza

Se Babele è omologazione, Pentecoste è valorizzazione delle diversità.

Leggendo bene il brano di Atti 2,1-11, capiamo che il miracolo non avviene nei discepoli (rendendoli poliglotti), ma tra le loro bocche e le orecchie degli ascoltatori (o meglio: i loro cuori).

Tra i discepoli che annunciano e la folla che ascolta, si interpone una sorta di “interprete” (un po’ come al Parlamento Europeo).

Tutti, pur continuando a parlare le proprie lingue (e conservando la propria cultura), riescono ad ascoltare il messaggio del Vangelo e a sentirlo rivolto a sé.

La grazia dello Spirito Santo ci fa comprendere l’un l’altro, nonostante le diversità (anzi, forse proprio grazie a quelle).

Nella vita cristiana, la diversità non è un ostacolo, ma un arricchimento (cfr 1Cor 12).

Il morbo della superficialità

Vorrei aggiungere un’ulteriore riflessione, per scendere ancor più nel quotidiano.

Oggi abbiamo tanti mezzi di comunicazione, anche avanzati (visiva, multimediale, multi-sensoriale), ma una cosa rimane insuperabilmente dolorosa e inevitabile: il fraintendimento.

Che frustrazione quando dici una cosa e il tuo interlocutore capisce altro (se non addirittura l’opposto)!

È ancor più avvilente quando avviene tra persone che vivono fianco a fianco da anni: coniugi, fratelli, amici, colleghi, compagni nella fede…

Il fraintendimento si origina quasi sempre dalla presunzione di conoscere già l’altro, di non doversi attendere più nulla di nuovo da lui (oppure si pretende di “inscatolarlo” nelle proprie categorie di pensiero).

Ci si fraintende perché si parte da una posizione di altezzosa superiorità, e quindi non si ascolta, o lo si fa in modo del tutto superficiale.

Ma lo Spirito Santo è nemico della superficialità: Egli ci dona l’intelletto, che è proprio la capacità di scendere in profondità, di non fermarsi alle apparenze.

Se ci disponiamo ad accoglierlo con umiltà, lo Spirito Santo, non solo ci riveste di carismi speciali e unici, ma allo stesso tempo ci dona la capacità di capire e apprezzare la ricchezza della diversità dell’altro e dei suoi carismi.